Abstract.

Il brigantaggio è un fenomeno, caratteristico di tutti i paesi in determinate fasi di sviluppo sociale e politico, per il quale bande di malfattori riunite e disciplinate sotto l’autorità di un capo, attentano a mano armata alle persone e alla proprietà. Particolare rilievo per il suo carattere politico e sociale e per le sue ripercussioni nella storia del Regno d’Italia nel periodo della sua formazione è il brigantaggio, sviluppatosi nel Mezzogiorno e in altre zone d’Italia (non ultima la Romagna) negli anni precedenti e in quelli immediatamente seguenti al 1860. Si tratta di un fenomeno molto esteso, che coinvolse migliaia di persone, che ebbe moltissimi fiancheggiatori nel Meridione e che fu espressione di un profondo disagio maturato in ampi strati della popolazione.

Questo laboratorio didattico si propone di  mostrare alcune delle fonti che documentano il fenomeno e alcuni dei suoi protagonisti, in modo da poter da fornire elementi utili per l’insegnamento alla consapevolezza e alla cittadinanza attiva, anche attraverso il confronto tra passato e presente.

Oggetto del laboratorio e articolazione dell’attività.

Il laboratorio è suddiviso in tre sezioni:

1) Luoghi e cronologia fondamentale del brigantaggio.

2) La figura di un brigante: il Passatore.

3) Brigantaggio e mafia

In ogni sezione si propongono testi che sintetizzano l’argomento oggetto della sezione, accompagnati da documenti scritti, audiovisivi, immagini fotografiche e mappe per i quali sono previste delle attività da far svolgere agli studenti.

Finalità del laboratorio

Conoscere le caratteristiche spazio-temporali del fenomeno storico, cogliendo i  rapporti di continuità tra passato e presente.

Classi coinvolte: il laboratorio è indirizzato all’ultimo anno della scuola secondaria di primo grado (Storia e Educazione alla cittadinanza) e al primo anno di scuola secondaria di secondo grado (Educazione alla cittadinanza)

Durata: 6-8 ore di lavoro in classe e attività da svolgere a casa

Prerequisiti:

  • Conoscenza di base relative all’Italia in età risorgimentale
  • Conoscenza di base della storia socio-economica e politica italiana ed europea dal Congresso di Vienna fino all’Unità d’Italia
  • Esperienza di analisi delle fonti storiche

Obiettivi: Acquisire competenze relative a:

  • decodificare, analizzare e distinguere diverse tipologie di fonte e di testi;
  • ricavare informazioni da ogni tipologia di fonte e di testi;
  • riconoscere le argomentazioni e l’intenzionalità di chi ha prodotto il documento;
  • individuare elementi comuni e parole chiave;
  • procedere per confronto, per analogia e differenza, ricavare modelli e interpretazioni;
  • comporre dati e informazioni, attraverso chiavi di lettura, temporali, spaziali, sociali, culturali;
  • costruire linee del tempo, riconoscere l’ordine temporale della narrazione;
  • acquisire strumenti lessicali e concettuali propri della disciplina storica e utilizzarli in maniera corretta;
  • ascoltare, capire e seguire le argomentazioni dell’altro;
  • utilizzare intenzionalmente un lessico specifico per una sintesi espositiva.

Metodologia

L’attività di laboratorio si svolge nella classe, strutturata in gruppi di lavoro, e prevede le seguenti operazioni:

  1. selezionare da un archivio simulato costruito ad hoc alcuni documenti sulla base dei temi suggeriti;
  2. interrogare i documenti a seconda della loro diversa tipologia (critica della fonte, ricerca di indizi, ecc…);
  3. elaborare una sintesi delle informazioni raccolte a partire dall’intreccio dei documenti inseriti nel laboratorio;
  4. mettere a confronto i risultati di ciascun gruppo di lavoro, sulle diverse informazioni-rappresentazioni che l’analisi delle fonti ha restituito.

Sezione 1. LUOGHI E CRONOLOGIA FONDAMENTALI DEL BRIGANTAGGIO

Chi erano i briganti?

Attività per gli studenti:

  1. Osservando le immagini e i filmati descrivi la figura del brigante ponendo particolare attenzione al modo in cui si vestivano, gli oggetti con cui si facevano fotografare, il loro atteggiamento di fronte alla macchina fotografica e le azioni che compivano.

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Trailer del film

 

La cronologia

Già nell’ultima fase della spedizione dei Mille i borbonici, asserragliati a nord del Volturno intorno Gaeta, avevano deciso di fare ricorso a formazioni armate irregolari a supporto delle truppe regolari ancora attive tra il Sannio e l’Abruzzo, al fine di coprire il fianco rispetto all’avanzata verso sud dell’esercito sabaudo.

Fu soprattutto dopo il 1861,però, che in queste formazioni irregolari, che la popolazione locale denominava masse, affluirono migliaia di uomini: ex soldati dell’esercito sconfitto e disciolto, coscritti che rifiutavano di servire sotto la bandiera italiana, popolazione rurale, banditi di professione e briganti stagionali, che si dedicavano già alle grassazioni nei periodi in cui non potevano trovare impiego in agricoltura. 

Al fine di contrastare più efficacemente il fenomeno, il 16 dicembre 1862 la Camera dei deputati decise la costituzione di una commissione d’inchiesta sul fenomeno, da inviarsi nelle province meridionali per prendere diretta conoscenza dei fatti, con Giuseppe Massari alla segreteria e Giuseppe Sirtori alla presidenza.

Gli strumenti a disposizione della repressione vennero incrementati con la moltiplicazione delle taglie e l’istituto del domicilio coatto, quest’ultimo introdotto dalla legge Pica; emanata il 15 agosto 1863 era una legge speciale che colpiva non solo i presunti e veri briganti, ma affidava al giudizio dei tribunali militari anche i loro parenti e congiunti o semplici sospetti di manutengolismo (ossia collaborazione) coi briganti. Con successive proroghe, la legge Pica restò in vigore fino al 31 dicembre 1865.

A cavallo degli anni 1862-1864 le truppe dedicate alla repressione vennero aumentate sino a 105.000 soldati, circa i due quinti delle forze armate italiane del tempo. Il generale Emilio Pallavicini giunse ad eliminare le grandi bande a cavallo con i loro migliori comandanti: il 5 gennaio 1863 venne ucciso in combattimento Pasquale Romano, attivo nella zona di Bari e, nel corso dell’anno, furono sgominate le bande di Crocco nel Vulture.

Carmine Crocco, rimasto con pochi uomini e incalzato senza tregua dalla truppe italiane, cercò riparo sconfinando nello Stato Pontificio ove sperava di ricevere aiuti come era accaduto per molti altri capi briganti, ma diversamente dalle sue previsioni, venne arrestato dalle guardie pontificie il 25 agosto 1864, e tenuto imprigionato a Roma senza processo fino al settembre 1870, quando a seguito della breccia di Porta Pia si trovò prigioniero dello stato italiano finendo sotto processo. Nel 1864 morirono anche Ninco Nanco, luogotenente di Crocco, e Malacarne, famoso brigante lucano. Grazie soprattutto alla resa del suo luogotenente Giuseppe Caruso  e la sua collaborazione con le autorità italiane, nella zona di Foggia Michele Caruso fu infine fucilato il 23 dicembre dello stesso anno.

 

 

 

Attività per gli studenti:
  1. Leggi i primi due articoli della “Legge Pica” del 1863 e completa.
I luoghi
Difficile riconoscere le difficoltà, in alcuni casi estreme, cui si trovarono ad operare truppe della guardia nazionale, briganti e guerriglieri, ed altrettanto difficile ricostruire integralmente i luoghi dove ebbe origine, si sviluppò e si combatté il Brigantaggio. Questo fenomeno tra fasi iniziali e successive interessò quasi tutte le province dell’entroterra del regno borbonico annesse al nuovo stato italiano dove le condizioni di vita della popolazione dedita prevalentemente all’agricoltura erano difficili. Ignoranza, povertà, propaganda diffusa dal clero e dagli agenti borbonici alimentarono il brigantaggio che risultò più limitato  nelle aree urbane e industrializzate, nelle zone agricole più produttive e nell’amplissima fascia costiera del Mezzogiorno e della Sicilia.
E’ la relazione della commissione Massari del 1863 che descrive i luoghi in cui il fenomeno del brigantaggio è più o meno presente e le cause di questa disparità. Eccone uno stralcio:
Su 375 briganti che si trovavano il giorno 15 aprile prossimo passato nelle carceri della provincia di Capitanata, 293 appartengono al misero ceto dei cosi detti braccianti. Là invece dove le relazioni tra il proprietario ed il contadino sono migliori, là dove questi non è in condizione nomade ed è legato alla terra in qualsivoglia modo, ivi il brigantaggio può, manifestandosi, allettare i facinorosi, che non mancano in nessuna parte del mondo, ma non può gettare radici profonde ed è con maggiore agevolezza distrutto. Nella provincia di Reggio di Calabria diffatti, dove la condizione del contadino è migliore, non vi sono briganti. Nelle altre due Calabrie, la provincia di Catanzaro e quella di Cosenza, le relazioni tra contadini e proprietari sono cordiali, e quindi allorché questi invocano l’aiuto di quelli per difendere la proprietà e la sicurezza sono certi di conseguirlo. Nelle provincie dove lo stato economico, la condizione sociale dei campagnuoli sono assai infelici, il brigantaggio si diffonde rapidamente, si rinnova di continuo, ha una vita tenacissima; mentre in quelle dove quello stato è più tollerabile, dove quella condizione è comparativamente migliore, il brigantaggio suoi essere frutto d’importazione, nè può, manifestandosi, oltrepassare certi limiti, e quando sia stato una volta disfatto non risorge con tanta facilità”.
Attività per gli studenti
  1.  Rispondi alle seguenti domande relative al testo che hai appena letto:
La legge Pica, infine, definiva come province “infestate dal brigantaggio” quelle di Abruzzo Citeriore, Abruzzo Ulteriore II, Basilicata, Benevento, Calabria Citeriore, Calabria Ulteriore II, Capitanata, Molise, Principato Citeriore , Principato Ulteriore e Terra di Lavoro.

 

Sezione 2. LA STORIA DI UN BRIGANTE DI ROMAGNA

La vicenda biografica

Stefano Pelloni, detto il Passatore (Boncellino di Bagnacavallo, 4 agosto 1824 – Russi, 23 marzo 1851), è stato un brigante italiano, attivo nella Romagna di metà Ottocento, considerato il più efferato tra i briganti romagnoli. Fu ucciso nel marzo 1851 nei pressi di Russi dal sussidiario della Gendarmeria pontificia Apollinare Fantini. Il soprannome gli venne dal mestiere di traghettatore (o “passatore”) sul fiume Lamone esercitato dal padre Girolamo; viene chiamato anche Malandri, dal cognome della donna che sposò un suo bisavolo.

Evaso durante un trasferimento ad Ancona, dove avrebbe dovuto scontare una condanna a quattro anni di lavori forzati nella risistemazione della nuova darsena per il furto di due fucili da caccia, più altri tre anni di detenzione per la fuga dal carcere di Bagnacavallo, e datosi alla macchia, entrò a far parte di un gruppo assai variabile come consistenza e zone d’azione, del quale (come uso tra i briganti dell’epoca) egli non divenne il vero capo, ma un’importantissima figura di riferimento.

Il gruppo divenne in breve una banda sempre più numerosa, audace, agguerrita e capace di efferatissime violenze, che operò per tre anni nelle Legazioni Pontificie, tenendo in scacco la gendarmeria grazie a una vasta rete di spie, informatori, protettori, ricettatori e addirittura uomini delle forze dell’ordine. Utili anche le connivenze con la popolazione più povera, ricompensata, come sempre fanno i banditi che si comprano appoggi, con i proventi dei suoi furti e rapine. Furono queste elargizioni che contribuirono a creare la sua fama di “Robin Hood” romagnolo.

In realtà i comportamenti del Passatore sono da considerarsi quelli tipici di un criminale che gratuitamente seminava violenza e uccideva con sadismo: è stato, ad esempio, l’unico brigante dell’Ottocento ad aver sezionato alcune vittime. In un caso il Pelloni sparò a sangue freddo a un uomo semplicemente perché uno dei suoi aveva insinuato che si trattasse di una spia.

Un modus operandi caratteristico della banda, inizialmente attiva nei boschi di Brisighella, era la “firma” dei propri delitti: a suggello del misfatto compiuto il Pelloni dichiarava a voce alta il proprio nome e soprannome: «Stuvanèn d’ê Pasadôr» (Stefano (figlio) del passatore), come caratteristico era anche lo scherno verso il potere con cui spesso erano concepite le azioni.

Delle sue gesta, quelle che seminarono il terrore furono le vere e proprie occupazioni militari di interi paesi – Bagnara di Romagna (16 febbraio 1849), Cotignola (17 gennaio 1850), Castel Guelfo (27 gennaio 1850), Brisighella (7 febbraio 1850), Longiano (28 maggio 1850), Consandolo (9 gennaio 1851) e Forlimpopoli (sabato, 25 gennaio 1851) – durante le quali metteva a sacco le abitazioni dei più ricchi, che venivano torturati e seviziati per farsi rivelare i nascondigli degli scudi e delle gioie.

Tra tutte, rimase tristemente famosa l’occupazione di Forlimpopoli, avvenuta nella notte del 25 gennaio 1851. Durante l’intervallo di una rappresentazione, i briganti penetrarono nel Teatro Comunale (oggi teatro Verdi): saliti sul palcoscenico, puntarono le armi contro gli spettatori terrorizzati e, facendo l’appello, rapinarono uno ad uno gli spettatori presenti in sala. Fra le famiglie rapinate vi fu anche quella di Pellegrino Artusi. A raccolto concluso, gli efferati banditi stuprarono alcune donne, e tra queste Gertrude, sorella dell’Artusi, la quale impazzì per lo choc. La vicenda al Teatro di Forlimpopoli divenne talmente popolare da essere cantata per decenni dai cantastorie.

La notizia causò apprensione nelle località della Romagna toscana prossime alla frontiera, perché i briganti sfuggivano all’inseguimento delle truppe pontificie nascondendosi sulle montagne toscane dove il governo granducale, nonostante gli accordi di collaborazione presi con le autorità pontificie, era più tollerante nei confronti di questi soggetti, che classificava come “facinorosi pontifici”.

Lo stesso Artusi riconobbe fra gli aggressori don Pietro Valgimigli detto “don Stiffelone”, parroco di San Valentino presso Tredozio, loro fiancheggiatore e manutengolo; presenza confermata da altre testimonianze che lo davano “in intelligenza colla banda fino da quando era capeggiata dal Passatore, essendo stato al fatto a Forlimpopoli“.

Nella sua biografia è ricordata anche l’incursione che fece nel settembre 1849 a Cascina Mandriole, ove nell’agosto era morta Anita Garibaldi. Il brigante vi fu attirato dalle dicerie locali, secondo le quali Stefano Ravaglia, che aveva ospitato Garibaldi e consorte, e seppellito Anita alla sua morte, fosse in possesso di una somma di denaro, in oro e carta valute, ricevuta dallo stesso generale. La famiglia del Ravaglia fu torturata per estorcere la confessione sul presunto nascondiglio del tesoro. Giuseppe, fratello di Stefano, fu ucciso.

L’attività del Pelloni terminò tragicamente nel marzo 1851. Grazie ad una segnalazione, “Stuvanèn d’ê Pasadôr” fu individuato dalla Gendarmeria Pontificia in un capanno di caccia del podere Molesa, nei pressi di Russi, rimanendo ucciso nello scontro a fuoco che ne seguì. Il suo cadavere fu messo su un carretto ed esibito per tutte le strade della Romagna, a dimostrazione dell’effettiva fine del brigante e per evitare l’insorgere di eventuali future leggende sulla sua morte.

Il cadavere venne poi seppellito presso la Certosa di Bologna in luogo sconsacrato.

Il ritratto e l’iconografia

Per arrestare il Passatore la Legazione di Ravenna aveva provveduto a distribuire in tutta la Romagna i suoi connotati.

Stefano Pelloni, figlio di Girolamo custode del fiume Lamone

DOMICILIATO: in Boncellino
SURNOMATO: Malandri
CONDIZIONE: bracciante
STATURA: giusta
D’ANNI: venti (nato il 24 agosto 1824)
CAPELLI: neri
CIGLIA: idem
OCCHI: castani
FRONTE: spaziosa
NASO: profilato
BOCCA: giusta
COLORE: pallido
VISO: oblungo
MENTO: tondo
BARBA: senza
CORPORATURA: giusta
SEGNI PARTICOLARI: sguardo truce

(30 dicembre 1844)

 

Immagine di Stefano Pelloni, tracciata dal prof. Silvio Gordini di Russi (Museo del Risorgimento, Faenza)

Immagine di Stefano Pelloni, tracciata dal prof. Silvio Gordini di Russi (Museo del Risorgimento, Faenza)

Immagine stereotipata di come viene rappresentato oggi il Passatore.

Immagine stereotipata di come viene rappresentato oggi il Passatore.

Carmine Crocco, emblema del brigantaggio in Basilicata

Carmine Crocco, emblema del brigantaggio in Basilicata

I luoghi del Passatore

Il Passator cortese: storia o mito?

Molti storici si sforzano di scrostare l’alone mitico che l’identità romagnola ha creato attorno a questo bandito delle zone di Romagna, facendo riferimento agli atti documentali, e calcando la mano sulle azioni sanguinarie del Passatore e della sua banda. Dall’altra parte altri hanno teso ad individuare una serie di attenuanti per questa figura definendo il contesto storico-sociale e politico in cui il personaggio operò, ovvero la Romagna papalina del 1848 – 49 – 50 e i bisogni che la gente povera aveva di riscatto.

Il Passatore morì in una sparatoria finale, e spesso agì per vendicare gli amici uccisi,  o per eliminare traditori, delatori, poliziotti, guardie volontarie (le ronde dell’epoca). Depredò, e a volte uccise, quando si ribellavano, i ricchi possidenti e rimborsò abbondantemente i fiancheggiatori e quei braccianti o contadini poveri che lo accoglievano volentieri nei loro capanni, facendo sostanziosi regali alle ragazze delle case dove si nascondeva o alle donnine a pagamento che si portava dietro, o addirittura mostrando rispetto e affascinando le suore di un convento dove una volte ebbe modo di trovare asilo, oltre a ricompensarle di una notevole somma. Così gli riuscì di creare il mito di un casereccio Robin Hood, di uno che “rubava ai ricchi e dava ai poveri”.

Giovanni Pascoli, poeta di Romagna, pare abbia voluto alimentare quel mito scrivendo la poesia “Romagna”, di cui in molti per varie generazioni mandarono a memoria, fin dalle elementari, la strofa finale:

Romagna solatìa dolce paese
cui regnarono Guidi e Malatesta,
cui tenne pure il Passator cortese
re della strada, re della foresta.

Non si deve dimenticare inoltre che nell’agosto del 1849 Garibaldi era passato per le zone dove in quegli anni stava ‘operando’ la banda del Passatore: l’eroe dei due mondi, inseguito da quegli stessi austriaci che davano la caccia al Passatore per conto del Papa, in fuga attraverso la Romagna dopo aver tentato la rivoluzione con la Repubblica Romana di Giuseppe Mazzini, sentì certamente parlare di quel bandito-giustiziere,  che umiliava le Forze Papaline e lo Stato Pontificio. Garibaldi riuscì a scampare alla cattura proprio rifugiandosi in Toscana, passando per quegli stessi sentieri che usava il Passatore quando si voleva sottrarre alla caccia dei ‘papalini’ e degli austriaci. E dall’esilio a New York dove si era rifugiato, Garibaldi nell’ottobre del 1850 scrisse una lettera che diceva recitava così:

“Le notizie del Passatore sono stupende… Noi baceremo il piede di questo bravo italiano che non paventa, in questi tempi di generale paura, di sfidare i dominatori”.

Stefano Pelloni lasciò una scia di sangue nella sua vita “storica”, ma riuscì comunque a creare anche una straordinaria figura del mito. Ripensato come una luce dagli oppressi di allora, alimentò la speranza del riscatto e signoreggiò nel fuoco delle lotte sociali degli anni successivi, tanto che “nell’Ottocento e oltre, non soltanto fiorirono centinaia di romanzi, opere di teatro, spettacoli per burattini, romanze popolari sull’eroe di Boncellino, ma anche poteva accadere che la nonna favolatrice si chinasse sulle culle dei bimbi per cantare la Cantlèna dla morta de Pasador” 

R. Ragazzini, R. Casalini, M. Casalini, Il passatore. Le imprese brigantesche di Stefano Pelloni nella Romagna ottocentesca, 1998, Il Ponte Vecchio

 La fortuna al cinema

Il primo film sul Passatore fu realizzato nel 1947 con la regia di Duilio Coletti

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Un secondo film Passatore risale al 1973 col titolo “Fuori uno sotto un altro… arriva il Passatore” con la regia di Giuliano Carmine.

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Uno sceneggiato fu portato sugli schermi televisivi in due puntate il 28 dicembre 1977 e il 4 gennaio 1978 sulla seconda rete Rai. Il titolo era Il passatore con la regia di Piero Nelli.

Le riprese in piazza Nuova a Bagnacavallo

Le riprese in Piazza Nuova a Bagnacavallo

In ordine di tempo, l’ultima rappresentazione non romanzata di alcune vicende del brigante romagnolo (1824-1851) è realizzata da Maurizio Callegati nel 2011. Gli attori sono tutte persone della zona in cui avvennero i fatti. Giampaolo Cavallucci veste i panni del Passatore.

Attività per gli studenti

  1. I connotati del Passatore differiscono notevolmente dall’iconografia che lo ha reso famoso, diffusasi nel dopoguerra a seguito del lancio del marchio dell’Ente Tutela Vini Romagnoli. In un testo di 20 righe descrivi ciascuna delle immagini proposte e prova a chiarire quali sono a tuo avviso le ragioni della somiglianza tra l’immagine stereotipata del Passatore e quella di Carmine Crocco (dopo aver svolto una breve ricerca sulla sua identità) rispetto a quella ricostruita dal prof. S. Gordini.
  2. Individua sulla carta geografica i luoghi che interessano la biografia del Passatore e ipotizza l’itinerario di una visita di istruzione da svolgersi in una giornata nelle località in cui la vicenda del Passatore si intreccia con la storia del Risorgimento italiano.
  3. Sulla base dei contributi video, delle fonti proposte sul mito del Passatore e dei versi di G. Pascoli, prova ad illustrare in una presentazione Prezi o Power Point quali sono le ragioni per cui la figura di questo brigante risulta ancora oggi molto controversa.
  4. Dopo aver guardato il video di M. Callegati (2011), metti a confronto la versione dei fatti presentata nel film con quella raccontata da F. Serantini in Fatti memorabili della Banda del Passatore in terra di Romagna (Editori fratelli Lega- Faenza), evidenziando eventuali discrepanze.                                                                                          “Febbraio 1851: Per una spiata cade nelle mani del comandante delle guardie austriache Fagòt (Gaetano Morgagni), uomo di punta della banda. Per salvare la pelle si mette a raccontare tutto quello che sa. Rivela dove sono le case amiche, la casa dei piatti, la casa delle donne, la casa dell’osso, i rifugi, gli informatori, i ricettatori e i fiancheggiatori. Viene fucilata un enorme massa di gente e si fa il vuoto attorno alla banda del Passatore.Carnevale 1851: La banda braccata comincia a vagare dalle parti di Boncellino sperando nei parenti e amici fidati. Arrivati a Traversara a casa dei Mattiolino organizzano una grande festa di Carnevale. Sono in sei, Pasador, Giazòl, Lisagna, Tagiò, Matiaza e é Calabres. Si sono procurati tre suonatori e dieci donnine: tre giorni di gozzoviglie sfrenate. Per il Passatore, ma anche per i Mattiolino, è l’ultima festa.17 marzo 1851: Dopo Fagòt, è la volta di ‘Lamella’ (Giacomo Emaldi di Fusignano) che porta alla perquisizione della casa di Giovanni Minguzzi, l’ortolano dove in un nascondiglio segreto in un doppio muro viene scovato Antonio Farina detto Dumandò, uno dei fidelissimi del Passatore. Anche lui comincia a ‘cantare’ per aver salva la vita.19 marzo 1851: A Prada, presso il mulino Ladelchi, Giazòl, Lisegna e Stvané de Pasadòr a cavallo si incontrano con 4 gendarmi: nello scontro a fuoco sono costretti a fuggire e ad abbandonare i cavalli20 marzo 1851: L’ortolano viene fucilato a Bagnacavallo, alle 5 del pomeriggio. Aveva ospitato spesso la banda e si calcola avesse accumulato una fortuna.22 marzo 1851: Si rifugiano a Bizzuno di Lugo ma qui di nuovo dopo una spiata hanno uno scontro a fuoco coi gendarmi, che lasciano sul campo due morti e i banditi riescono a fuggire. E’ ormai sera i cinque si dividono. Matiaza e Carera vanno per conto loro. Pasador, Giazòl e Lisegna camminano tutta la notte verso Russi.23 marzo 1851: Arrivano nella “Tenuta Molesa” degli Spadini di Faenza. Si nascondono in un capanno da caccia. Lisegna se ne va e Pasador e Giazol rimangono da soli. Un mendicante che era in giro a far stecchi vede tre uomini armati di fucile e avvisa le guardie di Russi, sperando in qualche beneficio, vista la legge contro le armi. Parte un gruppi di militi (5 gendarmi, 4 papalini e 4 sussidiari) al comando di Achille Battistini. Del gruppo fa parte anche quell’Apollinare Fantini che per primo nel 1844 aveva arrestato l’allora Stefano Pelloni. Il comandante piazza i suoi uomini e poi prova a sfondare la porta del capanno, ma non ci riesce. Guarda dentro a un finestrino e in quel mentre gli arriva una fucilata che gli squarcia il petto. la porta si spalanca e i due fuggono sparando all’impazzata. Il Fantini riconosce il Passatore e gli spara una fucilata che lo lascia secco. Nel trambusto Giazòl anche se ferito riesce a fuggire.Il corpo del Passatore viene caricato su un carretto trainato da un ronzino e portato in giro per i paesi della Romagna, e poi a Bologna dove, dopo il riconoscimento formale, la notte del 26 marzo viene sepolto alla Certosa, in territorio sconsacrato.”

Sezione 3. BRIGANTAGGIO E MAFIA

Le radici del potere criminale mafioso

Le prime notizie sulla mafia siciliana risalgono alla prima metà dell’Ottocento. Da allora ad oggi, la mafia si è dovuta confrontare con tutti gli eventi e con le diverse fasi storiche che hanno caratterizzato la storia d’Italia. E tuttavia è possibile trovare un filo unitario che attraversa gli oltre 150 anni di vita della mafia, ed è possibile trovarlo dentro la storia della mafia stessa. La mafia è nata durante l’Ottocento nel triangolo che ha ai vertici Palermo, Trapani e Agrigento, ma il termine “mafia” è apparso per la prima volta nel 1862-1863, quando a Palermo venne rappresentata – con larghissimo successo – la commedia I mafiusi di la Vicaria, scritta da Giuseppe Rizzotto. Si trattava di una storia drammatica ambientata nel carcere dell’Ucciardone di Palermo dove pochi manigoldi dominavano la maggioranza dei reclusi imponendo taglie o tributi, i cosiddetti u’pizzu o pagliericcio che, teoricamente, servivano per aiutare i detenuti più poveri, anche se in realtà i provenenti del pizzo rimanevano ai mafiosi e i detenuti non ricevevano alcunché.
In merito al problema dell’ordine pubblico in Sicilia, il governo istituì la prima Commissione Parlamentare d’inchiesta, e tra il 3 e il 4 maggio 1863, la relazione conclusiva fu letta alla Camera dei deputati, in Comitato segreto, da Giuseppe Massari e Stefano Castagnola. Le conclusioni cui pervenne la Commissione mostrarono le inesattezze delle tesi sul brigantaggio da parte dei moderati e dei democratici.
Secondo la Commissione il brigantaggio non era solo “volgare delinquenza” o “flagello” che sconvolgeva le campagne del mezzogiorno, e i clerico-borbonici non erano i responsabili principali della situazione che si era venuta a creare, in quanto avevano quale obiettivo la restaurazione dell’antico regime. Per la Commissione i galantuomini meridionali, negando ai contadini le terre demaniali, avevano provocato una forte reazione che aveva assunto proporzioni sempre più preoccupanti. Secondo la Commissione il potere centrale continuava a ignorare i bisogni dei contadini, le necessità e le loro aspirazioni e non interveniva per sottrarli alla miseria che li opprimeva. Il brigantaggio, così come si era manifestato nell’Italia meridionale, per la Commissione, rappresentava una rivolta dei meno abbienti contro la borghesia terriera che, tenacemente conservatrice anche quando si autodefiniva liberale e democratica, aveva accettato l’annessione al Piemonte solo perché convinta che il nuovo regno avrebbe lasciato immutate le strutture economico-sociali del paese. Occorre allora chiedersi se la mafia sia nata con l’unità d’Italia, oppure se al neonato regno d’Italia essa fu consegnata in eredità dai Borboni.

R. Minna, Breve storia della mafia, Editori riuniti, 1984

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Breve storia della mafia

La mafia nacque come braccio armato della nobiltà feudale per la repressione delle rivendicazioni dei contadini. A fine Ottocento si strinsero i legami tra mafia e politica, con l’ascesa di mafiosi al potere locale e l’affermarsi della prassi dello scambio di voti e favori, mentre si consolidava un rapporto di dominio-protezione della mafia sul territorio in cui operava. Il salto di qualità coincise con l’emigrazione meridionale negli USA agli inizi del XX secolo. La mafia assunse allora un ruolo importante nell’immigrazione clandestina, imponendo il proprio controllo sulla forza-lavoro e il racket sulle attività dell’area occupata, e intensificando le pratiche di scambio elettorale. Negli anni 1920 la domanda contadina di terra e le misure governative per la formazione di nuove proprietà permisero alla mafia di porsi come intermediario tra latifondisti e cooperative contadine.

Durante il fascismo C. Mori, prefetto di Palermo (1925-28), fu inviato a stroncare la mafia, intercettandone i tradizionali legami con la politica locale e rivendicando il monopolio statale della violenza. Tra il 1943 e il 1945 la mafia, a cui gli Alleati si erano appoggiati per preparare lo sbarco, strinse rapporti con il movimento separatista e, dopo il 1945, con esponenti dei partiti al governo, che la legittimarono come forza antisindacale, anticontadina e anticomunista. Mentre le cosche locali si radicavano nel tessuto degli enti regionali, i mafiosi rientrati dagli USA fecero della Sicilia la centrale mediterranea del narcotraffico e del traffico di armi. La mafia del palermitano si organizzò quindi in ‘cupola’ (Cosa nostra), avviò un processo di controllo della criminalità organizzata e individuò nuovi settori di profitto (edilizia, mercati generali, appalti), configurandosi negli anni 1960 come mafia ‘urbano-imprenditoriale’.

Negli anni 1970-80 la mafia divenne protagonista del narcotraffico, intrecciando rapporti con organizzazioni straniere. Nel 1979 iniziò una violenta offensiva volta a rimuovere gli ostacoli alla sua crescita con l’uccisione di uomini politici, poliziotti e magistrati, mentre si verificavano anche grandi conflitti intestini, dai quali emerse vincitore il gruppo detto dei Corleonesi. Vittime della mafia sono caduti, tra gli altri, P. Mattarella nel 1980, P. La Torre e il generale C.A. Dalla Chiesa nel 1982 e il giudice R. Chinnici nel 1983. Culmine di tale guerra è stato nel 1992 l’assassinio dei giudici G. Falcone e P. Borsellino, del finanziere N. Salvo e del deputato democristiano S. Lima. Nel frattempo, però, le rivelazioni di una serie di mafiosi ‘pentiti’ hanno consentito di compiere passi importanti nella lotta antimafia, istituendo fra l’altro un maxiprocesso a più di 400 persone nel 1986: sono stati arrestati i boss corleonesi L. Liggio, S. Riina e, nel 2006, B. Provenzano, insieme a moltissimi altri capimafia.

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La lotta alla mafia

 

Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Antonino Caponnetto

Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Antonino Caponnetto

 

Il caso Saviano

Tutto ha inizio il 13 ottobre del 2006 quando un maggiore dei carabinieri comunica allo scrittore che da quel momento vivrà sotto scorta. “Una cosa alla quale non ci si abitua mai”, confessa Saviano alle pagine di La Repubblica, ma poco dopo aggiunge: “Eppure, nonostante tutto, quello che oggi mi sentirei di gridare loro in faccia è: non ci siete riusciti! Non siete riusciti a ottenere quello che volevate. Non mi sono fermato, non mi sono piegato, anche se più volte mi sono spezzato. Maledetti bastardi, sono ancora vivo!”. Dalla prima edizione di Gomorra, il libro inchiesta in cui l’autore denuncia le dinamiche  e i traffici della camorra, più di dieci anni passati guardandosi le spalle, più di dieci anni dalla sfida agli esponenti del clan dei Casalesi.

Il critico A. Grasso in La parola contro la camorra (Einaudi, 2010) lo ha definito “costretto ad apparire. Per mostrare l’inferno in cui viviamo e per precipitarvi, spinto da qualche mano vile”, aggiungendo  che “le apparizioni televisive di Saviano rappresentano la sua condizione di libertà, una garanzia di vita (la visibilità come ultima barriera contro la criminalità organizzata)”. La tesi di Grasso è che siano i libri e la tv a consentire a Saviano di vivere, in quanto gli danno quella visibilità che la camorra vorrebbe negargli per aver svelato il sistema con cui la mafia controlla il nostro Paese. Attraverso i media  l’autore stesso rivendica il suo diritto di scrivere, testimoniare, incidere, come a voler dimostrare nei fatti che, mentre la criminalità organizzata vive di silenzio e non vuol far capire cosa stia succedendo, la sua volontà è quella di opporvi la voce, la denuncia anche se questa scelta lo pone in una condizione di perenne pericolo e paura.

Saviano e la televisione

Il 4 ottobre di quest’anno lo scrittore napoletano ha debutta con Kings of Crimes, una serie factual (inchiesta-documentario) su mafia e narcotraffico. Un genere tutto nuovo in Italia che va al di là dell’intrattenimento, approfondisce e ha un approccio quasi scientifico agli argomenti trattati. Infatti è proprio da un’aula universitaria, luogo per eccellenza del Sapere, in presenza degli studenti, che Saviano porta allo scoperto le vite dei boss per spiegare il crimine in TV.

La trasmissione, che racconta storie di sangue e violenza, andrà in onda anche in America Latina, Spagna, Portogallo, Francia e Germania. In Italia la prima puntata si occupa del camorrista Paolo Di Lauro (lo stesso al quale Saviano si è ispirato per Don Pietro Savastano di Gomorra), con un’intervista al pentito Maurizio Prestieri. Seguiranno poi i ritratti di El Chapo, il famigerato narcotrafficante messicano e di Antonio Pelle, boss della ‘ndrangheta calabrese.

Ogni biografia viene raccontata attraverso numerosi documenti e arricchita da atti giudiziari, intercettazioni originali e interviste.

«Il nostro obiettivo – dichiara Saviano nella conferenza stampa di presentazione dei palinsesti di Discovery a Milano – è quello di avvicinare i ragazzi a questi temi, tralasciati dal dibattito nazionale che si occupa solo di immigrazione. Gli stessi ragazzi che si vedono serie come Gomorra e che possono essere interessati a capire i meccanismi che stanno dietro alla malavita. Per questo abbiamo scelto un’aula universitaria per la parte del racconto, in modo da renderlo quasi scientifico».

 

Attività per gli studenti

  1. Sulla base delle interviste proposte e di una tua personale ricerca, in un breve video (max cinque minuti) presenta i giudici Falcone e Borsellino e il loro ruolo nella lotta alla mafia.
  2. Cerca su Internet un articolo di giornale in cui si riporta la notizia dell’attentato a G. Falcone e sintetizzane il contenuto in una relazione orale.
  3. Realizza una presentazione in Prezi sul tema ‘Il potere della parola nella lotta alla mafia’, basandoti sui documenti proposti.

 

Ogni sezione è destinata ad un gruppo di studenti che relazioneranno ai compagni i risultati delle rispettive attività svolte così da condividere le nuove conoscenze apprese.